Don Giuseppe Tedeschi: un molisano testimone di Cristo.

 

Chi è don Giuseppe Tedeschi definito da varie autorità ecclesiastiche testigos de sangre della iglesia universal: testimone di sangue della Chiesa universale?”.

Sono contento allora di offrire il mio contributo scritto sintesi sia dell’omelia della S. Messa parrocchiale in suffragio di don Giuseppe, sia dell’intervento per la comunità jelsese nella conferenza del 2 febbraio 2006, anche perché anch’io come salesiano colgo dai suoi scritti e dalle lettere coi superiori ed altri la ricchezza pedagogica e formativa che accomuna i “figli di san Giovanni Bosco”.

Padre Jose Tedeschi (nato a Jelsi- CB il 3 marzo 1934 e morto a La Plata il 2 febbratio 1976) era partito nel 1950, sedicenne da Jelsi, con la madre Maria Grazia Passarelli e quattro fratelli, minori di lui: Enea Antonio, Renzo, Americo Michele e Filippo, di meno di un anno. Raggiungeva il padre Luigi, partito un anno prima per l’Argentina. Nel 1954, la famiglia Tedeschi si spostò ad Avellaneda.

Fu così che Giuseppe incontrò l’oratorio dei Salesiani. Nell’oratorio dei salesiani, trovò una guida, la reintegrazione dei rapporti umani che aveva perduto emigrando e la possibilità di istruirsi e di professionalizzarsi da mobiliere, come aveva iniziato a fare a Jelsi. Il passo ulteriore, quello del seminario, divenne naturale. Nel ’54 entrò nel seminario minore di Bernal, da dove passò a Moron per l’anno di noviziato. Nel ’59 era di nuovo a Bernal per gli studi di filosofia. Dal ’62 fece il suo tirocinio da maestro nelle case salesiane di Buenos Aires.

In un contesto di grandi fermenti e conflitti sociali Giuseppe nel ’67 fu consacrato sacerdote, nella Chiesa salesiana di Maria Ausiliatrice di Bernal. Fin dai primi mesi rivolse la sua azione verso gli emarginati, verso i baraccati ammucchiati sulla riva del fiume. Dopo una parentesi a Mar del Plata, ritornò in una delle zone più degradate della grande Buenos Aires, nel quartiere Don Bosco di Guilmes. A contatto con tanta sofferenza sociale e con tanta disperazione umana, egli si convinse che il suo apostolato non poteva essere vissuto parzialmente, con mezze misure, ma richiedeva una scelta completa, una dedizione estrema. Il vivere tra i baraccati come semplice sacerdote, dove per sostenersi lavorava da mobiliere, il suo primo mestiere.

Queremos agua”, domandiamo l’acqua, gridava in corteo insieme a migliaia di persone alle autorità di Buenos Aires nell’autunno del ’75, i suoi diecimila baraccati avevano solo 18 rubinetti; “queremos aguacioè almeno altri 40 rubinetti. I rubinetti non arrivarono mai, arrivarono invece le canne dei fucili per sequestrarlo, ma non si arrese, minacciarono allora di uccidere una donna india, Juana, che era in attesa di un bimbo. Juana raccontò che quando il capo del commando paramilitare gli premette sulla tempia il mitra lei chiuse gli occhi e sentì Giuseppe che diceva: “Lei no, no questo no, prendete me”. Alcuni giorni dopo, nella primavera del ’76, barbaramente assassinato, sfigurato dalle torture, i colpi e le pallottole venne trovato a La Plata.

 

Dinanzi a una tale figura che dalle foto appare ben coniugare le virtù salesiane della dolcezza e fermezza di carattere; di fronte a una tale persona che con la sua vita è diventato sostegno e difensore generoso dei poveri e degli ultimi del suo tempo e di fronte al suo coraggio alimentato dalla vocazione sacerdotale e dalla fede vissuta mi piace offrire tre stelle o punti di riferimento che ben riassumono la ricchezza del suo essere e del suo agire:

 

  1. SALESIANO E SACERDOTE DI CRISTO. Giovane formato alla scuola di don Bosco capace quindi di attenzione ai sofferenti ed emarginati, con particolare attenzione verso coloro che “il Padre e Maestro dei Giovani” chiamava “poveri, abbandonati e pericolanti”. Sacerdote zelante e uomo delle  beatitudini che ha saputo riconoscere, amare e servire il Cristo Signore nel volto degli ultimi.
  2. APOSTOLO DEI DISPERATI, pronto nel difendere i diritti dei deboli e di chi non aveva voce, amico e fratello come prete operaio a Buenos Aires, forte nel chiedere il rispetto della dignità umana e nell’impegno della giustizia e della promozione sociale.
  3. TESTIMONE CORAGGIOSO DEL VANGELO DI SALVEZZA che ha visto-giudicato-agito con fermezza in difesa dei deboli e degli oppressi, essendo padre forte nel lottare contro scandali e corruzioni; testimone fedele che non solo ha indicato la via della liberazione da strutture contro l’uomo ma è stato capace di percorrere la via dell’impegno e della coerenza esistenziale evangelica fino in fondo.

 

Questi sono appena tre tratti o linee guida che riassumono in breve ma non possono esaurire la ricchezza, il messaggio, la profezia, la missione e la testimonianza di don Giuseppe Tedeschi che nel sacrificio di ogni giorno, fin dalle umili origini, ha scelto di privilegiare i poveri e si è donato ai poveri, in particolare.

Dinanzi a tali testimonianze che la Chiesa missionaria annovera e associa all’unico Sacrificio del Cristo, segno e augurio di vita nuova, chiediamo anche per noi la forza e la costanza di essere dono e farci dono per il prossimo nel nostro quotidiano.

 

IL PARROCO:

Don Peppino Cardegna