La Festa del Grano di Jelsi in un articolo di Francesco Lanese su “ArcheoMolise”

traglia del macchione

 

Da qualche giorno è uscito il nuovo numero di “ArcheoMolise”, la rivista in abbonamento che offre studio, tutela e valorizzazione di beni culturali, tradizionali e archeologici della nostra regione. Tra i vari, interessanti argomenti trattati, un ampio spazio è dedicato alla Festa del grano e di S. Anna a Jelsi del 26 luglio, a firma di Francesco Lanese. Dopo un esauriente escursus storico a partire dal terremoto del 1805, l’autore si sofferma sulle peculiarità della festa, le opere in spighe e chicchi di grano effettuate con grande cura e precisione per la realizzazione di traglie e carri in sfilata utilizzati ormai come mezzi espressivi per manifestare “opinioni, sogni, visioni della realtà, talvolta contestazioni e malumori… Tra i temi più diffusi c’è certamente quello religioso, ma abbondano le creazioni legate alle più svariate passioni della popolazione…”. Lanese, nel suo articolo, sottolinea “il sentimento di solidarietà e fratellanza, per cui tantissimi dei carri - raffiguranti monumenti, chiese, personaggi importanti - sono realizzati per poi essere spesso donati ad altre realtà, comunità, paesi, in segno di vicinanza o per gemellaggi che nascono ogni anno”.

Sin dagli albori del mondo, con la stanzialità delle genti e l’avvento di un’agricoltura primaria, la spiga assume anche un valore antropomorfo e propiziatorio con un “Dioniso” pagano, sacrificato e trasformato in germoglio, rappresentato in Molise in rituali perpetrati attraverso la figura del “Diavolo di Tufara, del Cervo di Castelnuovo, dell’Uomo-Orso di Jelsi” e lo spirito arboreo della “Pagliara” dei paesi slavi molisani:  “Il contadino sentiva la necessità di propiziare la prosecuzione positiva del ciclo agricolo, attraverso ritualità che garantissero una buona riuscita del raccolto ed eliminassero l’incertezza del futuro… La spiga che ogni anno muore sotto la falce dei contadini” specifica Lanese “per poi risorgere l’anno successivo dopo la nuova sepoltura del seme, presenta in numerose culture simbologie simili legate a spiriti arborei o divinità della vegetazione, che rappresentano con la loro vita, morte e resurrezione il ciclo di invecchiamento e rinascita del ciclo vegetazionale”.  L’autore continua: “Nel passaggio dal paganesimo alla nuova religione cristiana i precedenti istituti religiosi e ritualità subiscono un evidente sincretismo, che porta il cristianesimo a diffondersi a livello istituzionale e popolare per la sua capacità di sostituire i culti precedenti con le proprie figure e devozioni. I culti agrari antichi basati sulla propiziazione della fertilità vegetale e animale si fondono dunque con la religione cristiana, con il suo messaggio di salvezza eterna e le sue figure capaci di garantire alla popolazione una sicurezza contro la miseria e la precarietà dell’esistenza… Se a livello mitico e rituale l’uomo si è sempre rivolto a divinità della vegetazione per scopi propiziatori e di fecondazione, di certo la Santa si presta facilmente a tale simbolismo essendo ella la generatrice per eccellenza, per il suo ruolo di madre della Vergine…”

Altra funzione fondamentale della festa è quella socializzante. Nel periodo della festa la popolazione di Jelsi ritrova il proprio senso di unità, di appartenenza e solidarietà. Nel perpetrare la festa, la popolazione (resistente all’omologazione a cui è sottoposta la globalizzata società consumistica e capitalistica) manifesta -oggi più che mai- motivazioni legate a esigenze specifiche legate al mantenimento di un proprio senso di identità e a ragioni di promozione e valorizzazione non sempre assecondate da contributi adeguati da parte degli enti preposti.

L’autore poi si sofferma sugli aspetti promozionali:  “La festa di Jelsi potrebbe dunque essere riconosciuta come bene culturale immateriale dall’Unesco, e quindi tutelata e valorizzata come testimonianza tipica e originale di memoria e identità locale. La comunità jelsese è consapevole del capitale culturale della propria festa e negli ultimi anni si moltiplicano le manifestazioni e attività legate alla sua promozione e valorizzazione, visibilità ed attrattività turistica. L’amministrazione locale da anni si sta muovendo in tal senso attraverso contatti e riconoscimenti nel seno di organizzazioni, istituzioni e gemellaggi”. Sviluppando poi un abbozzo di analisi delle dinamiche politiche e di potere che riguardano la festa -confermate da voci diverse quali il Presidente-Festa Feliciano Antedomenico, il professore Antonio Valiante, l’assessore comunale Michele Fratino, il regista Pierluigi Giorgio-l’impressione generale dell’autore Lanese, è di un’unità di fondo della popolazione jelsese, di una collaborazione efficace e poco contrastiva tra le varie associazioni, il comitato festa e l’amministrazione comunale, ma di un forte critica e accusa nei confronti delle amministrazioni provinciali e regionali. L’assessore Fratino e il regista Giorgio ad esempio, esprimono il proprio disappunto per l’insufficienza e la carenza delle politiche regionali. Entrambi manifestano una perplessità comune: la festa di Jelsi a livello di finanziamenti è messa sullo stesso livello di altre manifestazioni popolari meno importanti a livello culturale e anche turistico. Si reclama un intervento legislativo di tutela delle feste principali del Molise, che andrebbero meglio valorizzate tanto a livello economico, quanto sul piano di un marketing territoriale che sia più attento e più convinto dell’importanza così evidente del patrimonio etno-antropologico molisano.

Francesco Lanese così termina la sua ampia analisi: “La promozione della festa può avvalersi inoltre di un’importante iniziativa del regista Pierluigi Giorgio, il “Premio Internazionale La Traglia”, da lui ideato nel 2008. Egli ha realizzato una brillante e originale idea che pone Jelsi nei giorni della festa a contatto con realtà internazionali e con personalità di rilievo mopndiale. Il riconoscimento infatti consiste nella premiazione di personaggi di spicco e non (Birgill Kills Straight, leader degli indiani Sioux del South Dakota, Tara Gandhi, nipote del Mahatma, Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama…) che abbiano contribuito con le loro azioni alla “rivalutazione e cura di una tradizione, del suo ambiente, della tutela dei diritti umani, della dignità e dell’identità culturale e religiosa delle piccole comunità ed etnie ʻaltre’”. Il tema del premio è un esemplare proposito di collegamento di Jelsi e della sua unicità e peculiarità culturale ad altre realtà, italiane e internazionali che, attraverso altrettante operazioni di valorizzazione e recupero, stanno cercando di mantenere la propria presenza e identità, combattendo contro un sistema globale che spinge all’omologazione”.