QUANDO I VECCHI MUOIONO …

di Pierluigi Giorgio

Anche papà  Andrea  se n’è andato … in una notte di primavera; come mamma Peppinella sei anni fa.  Aveva 88 anni compiuti da poco. Papà Andrea: così l’ho sempre chiamato da quando la moglie mi aveva dato il latte di cui mia madre Adele -subito dopo la mia nascita a Campobasso- ne era purtroppo priva. Si usava molto allora: si andava alla ricerca di una balia anche nei paesi vicini. Papà Andrea acconsentì ad una condizione: dovevo restare con loro a Jelsi almeno per un anno poiché aveva bisogno della moglie per l’aiuto nei campi. E qui ho avuto il mio primo “imprinting”, da qui è nato l’inseparabile feeling che mi lega a Jelsi da 62 anni. Per oltre quindici, ho passato tutte le mie vacanze piene tra il paese e la campagna: u’ Macchione, Sant’Martin, condividendo le ore, i giorni, esperienze ed emozioni con i contadini… Oggi dicono di me che sono un poeta-contadino, nell’animo naturalmente: e forse è vero se resto un po’ rustico nella mia semplicità e se amo e rispetto così tanto questa gente; se già dagli anni ’70 ho raccontato di loro nelle storie, in radio, in televisione. Se ho puntato i riflettori spesso, molto spesso sulle loro umili-grandi vicende; se tutt’oggi ho fra le mani la chiave d’apertura delle porte di un mondo semplice che ha in sé preziosi semi di saggezza senza il clamore urlato degli opinionisti da strapazzo di tante note trasmissioni TV. Devo ringraziare papà Andrea e mamma Peppinella, devo ringraziare Jelsi di questo grande dono che ebbi allora, del punto e luogo identitario di riferimento, della certezza d’appartenenza: per questo forse sono più di Jelsi io, di tanti altri che ci son nati! E’ per questo che son tornato qui; è per gratitudine che in questi ultimi anni ho cercato di pagare il mio debito tutto personale, raccontando il borgo con filmati e rappresentazioni: è un discorso tra me e questa terra; è un discorso tra me e i miei genitori di latte, tra me e Giovanni, Maria, Incoronata, i figli: tutto il resto -chiacchiere da bar, invidie, macchinazioni, schieramenti e ruoli politici lasciano il tempo che trovano per quel che mi riguarda, e lo confermo oggi, oggi che mio padre muore… Quel che conta è ciò che porto dentro, ciò che il destino mi volle donare: io fortunato, tra tanti giovani d’oggi che non hanno purtroppo identità, tradizione e memoria o che -pur nati in un borgo- disconoscono i valori delle loro origini, non attingono ad essi abbagliati dai tanti programmi usa e getta.

E così, man mano, torna a galla la memoria: le sortite in pullman da Campobasso per sorprendere i genitori di qui, la volta che uccisi i pulcini perché la chioccia “mi stava antipatica” e papà Andrea che mi rincorreva con un bastone e mamma Peppinella in difesa che mi chiedeva: “Perché l’hai fatto, Nì?”... (anche a 50 anni mi chiamava ancora “Nì”!); le “traversate” dentro un tino assicurato alla sella dell’asino sino a Pietracatella il 29 agosto giorno di fiera; la mietitura e la trebbiatrice di Michele Campanaro; i pranzi all’ombra della grande quercia quando “fregavo” la salsiccia nel piatto di Giovanni molto più lento di me a mangiare; quel vino aspro dentro quei piccoli bicchieri che papà Andrea vantava ma che mi lasciava ogni volta perplesso; le sere sull’aia ad inzuppare tutti nella stessa ciotola di latte appena munto il pane sfornato; i racconti davanti al camino; i sonni profondi sui materassi di foglie di granone; le escursioni al Carapelle con i panni da lavare, le chiacchiere seduti sui gradini di Rua Papale; la festività di S. Anna, le traglie, le dieci lire che papà ci dava per comprare il gelato, la famiglia riunita nel giorno di festa attorno ad un tavolo, la pizza con il pomodoro preparata da mamma Peppinella; le risate complici con lei: i profumi, i sapori, i colori…

Devo ringraziare papà Andrea e mamma Peppinella di tutto questo; di quel che ho portato sempre nel cuore come un amuleto solido, prezioso, raro; devo ringraziarli, e devo farlo oggi che si chiude un ciclo, dedicando a loro quello che dedicai a suo tempo ai vecchi in genere, con le parole del “Ceppo di Natale”, il documentario ispirato proprio a quelle stagioni irripetibili, alla famiglia Eletto e Passarelli, “Provinciale e Tizzone”:

“I vecchi, i vecchi…. Me ne ricordo alcuni, alla fine della loro stagione, a sera davanti al fuoco, con lo sguardo già rivolto altrove… L' alone caldo, arancio delle fiamme, avvolgeva e ammorbidiva spesso i contorni netti e segnati del viso. Addolciva con tenui pastelli le loro enormi mani, grosse come pale, secche come rami, dure come attrezzi; faceva brillare come due piccole lucciole -forse a un ricordo?- i loro occhi. Ai riflessi del fuoco, i gesti, le parole di alcuni sembravano addirittura solenni…

A volte pensavo che quel vecchio, quel vecchi, erano come quel grosso ceppo di quercia che bruciava lentamente sul fuoco -lo pensavano anche loro?- e a questa idea mi sentivo un po' triste.

E se rivedo oggi i tanti posti e regioni che ho attraversato, lì dove il Natale ha solo volto di consumismo e tutto inesorabilmente si trasforma in luci abbaglianti, regali strabordanti, chiacchiere e parole altisonanti, anziani negli ospizi messi in disparte perchè infastidenti penso.... si penso:         quando un vecchio muore, oggi più che mai, muore -credo- un pezzo di paese; un pezzo di memoria storica, di tradizione, una fetta di vita se ne va; una pagina si volta, un vuoto immenso, incolmabile si crea per far posto ad un'altra storia -si, ma completamente diversa-. Con i vecchi che se ne vanno -ad uno ad uno- quella di ieri sta svanendo; è il paese, che sta morendo: è il paese, la tua storia che se ne va!....”

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