Il ballo dell'uomo orso

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"Promo della Ballata dell'Uomo Orso"


Il Ballo dell'Uomo-Orso a Jelsi, in Molise.

Fra i riti di propiziazione di fertilità invernali, a Carnevale nel periodo di passaggio tra due stagioni, che si svolgevano o tuttora si svolgono in Molise con correlazioni storico-antropologiche d'altre parti del mondo, accanto alla manifestazione del Diavolo di Tufara (CB) e al Cervo di Castelnuovo al Volturno (IS), l'Uomo-Orso o "U' Ball dell'Urz", il Ballo dell'Orso, ce lo ritroviamo a Jelsi, in provincia di Campobasso. Tenuto a catena da un domatore e un aiutante che gli impongono di danzare sotto la minaccia di percosse con un bastone, tra accenni di ribellione e passi di danza, fra i vicoli del borgo si espandono le note di improvvisati musicisti. Di tanto in tanto, il gruppo bussa alle porte delle case e al comando: "Orso a posto! Orso olè! Balla orso!" la famiglia ospitante offre da bere e da mangiare. La manifestazione, interrotta con l'avvento della Seconda Guerra Mondiale, è stata rimessa in piedi a Carnevale del 2008 dal regista Pierluigi Giorgio che già nel 1993 "rispolverò" quella del Cervo a Castelnuovo. Alla pantomima tradizionale, ha voluto affiancarne una più teatrale "La Ballata dell'Uomo-Orso" con musiche di Piero Ricci e Lelio Di Tullio (ultimamente ha dato una sua personale interpretazione, Danilo Sacco, cantante dei Nomadi). La rappresentazione, con tanto di tenore, coro, popolani e testo in rima musicato e cantato è impostata in modo che possa meglio narrare la vicenda del povero orso (il capro espiatorio) dal momento della cattura all'asservimento: il messaggio che si evince dal testo stesso della Ballata, non è tanto di interpretazione etno-antropologica ma di tipo più psicologico -oltre naturalmente all'immagine di un dio pagano piegato dalla religione cristiana o di Dioniso che "ucciso" si fa seme e frumento-. L'interpretazione che il regista ne dà attraverso le rime, non è altro che la paura del diverso o di quella parte di sé libera e selvaggia occultata e rimossa dall'individuo o dalla comunità per buona pace di tutti. La razionalità imperante che offre ed impone uniformità rassicurante, incasellamento! Il risultato? Disagio: quello striderti dentro tra cuore e cervello… Nel catturare, imbrigliare, legare, imprigionare l'Orso, nel soggiogarlo fra le sbarre, nell'aggiogarlo fra i nostri correnti, schematici, ripetitivi rituali di vita, nel canalizzare "l'urlo" nascosto e profondo in abituali, accomodanti trastulli di danza, imbrigliamo, soffochiamo lo scrigno più prezioso, la nostra essenza più profonda: quella da demonizzare, da non intendere, di cui si ha timore e che fa agli altri terrore… L'urlo del nostro "orso" interiore diventa sempre più flebile, più afono, più lontano: sempre più irrimediabilmente inascoltato: "…Chissà se la gente si domanda e poi chiede come si viva con una palla al piede, al posto invece di annullare le pene senza quel vincolo delle catene. Conservare il "selvatico" dentro di sé, essere in fondo quel che si è; mantenere il contatto con l'ingenuità, respiro primario d' identità. Forse è piu' comoda senza domande una vita da schiavo sotto badante; soffocare l'istinto con la ragione e danzare a comando: "Balla buffone!"


"Il ritorno dell'Uomo Orso", di Giorgio Salvatori

Un rito che secondo alcuni studiosi si ricollega ad alcune cerimonie invernali di fertilità, con la morte che cela al suo interno la rinascita, la vita; per altri esso và ricondotto all'archetipo del sacrificio del caprio espiatorio, che con la sua morte purga la comunità delle colpe commesse.
Il rito dell'orso a Jelsi non veniva più rappresentato da decenni; è stato riscoperto e portato a nuova vita grazie al concorso di diverse volontà:l'interesse di alcuni studiosi per questa e altre
maschere zooantopomorfe, presenti tutte con lo stesso significato nelle tradizioni del molise, la lungimiranza degli amministratori di questo piccolo paese,che hanno sostenuto e finanziato la rinascita
dell'antica usanza, e sopratutto la ricerca accurata portata a termine da Pierluigi Giorgio, un artista che da anni si dedica alla riscoperta delle tradizioni a rischio di estinzione.

Anticamente l'orso girava per i vicoli trascinato a catena dal suo domatore;entrando all'interno di alcune case seminava il panico programmato e controllato, utile alla costruzione del forte carico di
tensione destinato a concludersi con la liberazione finale e collettiva dal tormento.
A distanza di oltre mezzo secolo dalla sua rappresentazione, il rito dell'orso torna oggi riveduto e corretto anche sotto forma di ballata: orso, coro, popolani,un prete che deve esorcizzare l'anima
selvaggia e ribelle dell'animale, tutti concorrono al processo che alla fine dovrebbe vedere la vittoria del bene sul male, la rigenerazione della vita e il ritorno dell'abbondanza che scaccia la carestia.
Vittoriosa, in fondo, è la comunità, depositaria di forze ancestrali e centripete, le sole in grado di far trionfare l'ordine cosmico sul caos.
Scambiare tutto questo, come afferma qualcuno, per "folklore" sarebbe un modo riduttivo ed errato di guardarsi allo specchio. Saper rileggere con attenzione il nostro passato, anche quello che appare più distante dal gusto e dalla sensibilità contemporanea, è strumento indispensabile per capire meglio i vastissimi orizzonti di provenienza e appartenenza del nostro vivere quotidiano.