Jelsi e il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise

 

La MASCHERA DELL’ORSO in GRANO del Cantiere dei Piccoli di Sant’Anna

 E IL BALLO DELL’ ORSO di Pierluigi Giorgio prossimamente a Ortona dei Marsi.

Il Comitato Sant’Anna  e Il Comune di Jelsi sostengono da tempo l’Iniziativa.

Sabato  24 ottobre, trasferta nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise

Con “LA BALLATA DELL’UOMO-ORSO”

 

Programma:

ore 12: Partenza da Jelsi in corriera per Ortona dei Marsi

Ore 18.30: Rappresentazione della “Ballata dell’Uomo-Orso” ospiti della Pro-Loco di Ortona

Consegna al Direttore e al Presidente del Parco,  della maschera in grano dell’Orso ad opera del “Cantiere dei Piccoli” per il Museo del Parco di Pescasseroli.

 

IMPORTANTE!!!

Famiglie ed amici che desiderano unirsi, devono mettersi in nota con urgenza presso il “Laboratorio di Concetta Miozzi”  per  la prenotazione del secondo pullman.

Una bellissima maschera dell’Uomo-Orso realizzata in grano dal Cantiere dei Piccoli e mostrata a Jelsi durante la galleria processionale del grano delle traglie 2008 verrà portata in dono al Parco Nazionale d’Abruzzo

Documentazione:

Il regista Pierluigi Giorgio intervistato da Antonio Maiorano del Comitato Festa del Grano di Sant’Anna

Il maestro Pierluigi Giorgio uno dei maggiori documentaristi italiani legatissimo a Jelsi, dopo alcuni grandi affreschi sulle tradizioni molisane e jelsesi si misura sul “Ballë dell’ Urz” reperito sulle tracce di un lavoro dei ragazzi di Jelsi in ricognizione sul campo a seguito di una Borsa di Studio dell’Associazione “San Amanzio” fondata da Giuseppe Santella e condotta dai suoi ragazzi come atto d’amore identitario verso la propria Comunità.

 A me pare che sulla tradizione del Ballo dell’Orso tu stia agendo utilizzando una chiave che schiude il significato profondo del rito. È vero questo? Ci puoi parlare diffusamente di questo tuo interesse?

All’inizio degli anni ’90, dopo il mio interessamento al recupero dei tratturi molisani, mi sentii paesaggisticamente attratto dalla zona dei monti delle Mainarde e dalla storia affascinante del pittore francese Charles Moulin che scelse gli stessi luoghi per dar sfogo alla sua arte e al bisogno di “eremitaggio” creativo e spirituale. Raccolsi aneddoti, seguii le tracce dei suoi lavori casa per casa, scattai decine e decine di foto che nel trentennale della morte furono esposte in paese, girai documentari, salii su Monte Marrone alla ricerca dei resti del suo rifugio e dopo aver convinto l’Amministrazione Comunale di Rocchetta al Volturno a rimetterlo in piedi, feci anch’io la mia esaltante esperienza di eremitaggio in una natura incontaminata a contatto con animali selvatici: camosci, cinghiali, lupi, cervi ed orsi…

Fu proprio in quel periodo, a Carnevale, epoca del passaggio tra due stagioni, che scoprii a Castelnuovo al Volturno una tradizione interessantissima: “Gl’ Cierv”, il Rito dell’Uomo-Cervo di antichissima origine anche se ormai inquinata da arbitrarie sovrapposizioni carnascialesche. Ne parlai con alcuni amici del posto facendo notare che si ritrovavano tra le mani un reperto di ritualità che affondava radici nella notte dei tempi e che aveva riscontri -anche se per l’aspetto del peloso protagonista in maniera diversa- in alcune regioni della Penisola, in Europa e oltreoceano. Mi ritrovavo di fronte ad un antico rito di fertilità, di morte e rinascita che si rifaceva al sacrificio di Dioniso rappresentato con pelli e corna di cervo, caprine o bovine, simbolo del seme che viene “sepolto” d’inverno nella terra e dopo il Carnevale, si trasforma in fogliolina e in frumento, frutto a primavera. Un magico rito di propiziazione insomma perpetrato dalla gente del posto -ormai inconsciamente- attraverso la pantomima carnascialesca. Mi fu chiesto di rimetterla in piedi rispolverandola e ridandole lustro. Lo feci nel ’93, girai un documentario che andò anche all’estero, incominciarono ad arrivare giornalisti ed etno-antropologi. Creai una sorta di incontro-gemellaggio con le maschere sarde a Samugheo (Oristano) ed in particolare con quella di S’Urtzu (Orso) essere metà uomo, metà bestia con testa e corna caprine e in occasione della trasferta sull’isola portai lì anche l’altra maschera molisana: il Diavolo di Tufara. Vi furono convegni, scambi di visita ed ora le due manifestazioni hanno preso il volo e saranno presenti il prossimo anno a Bruxelles, alla Comunità Europea.

 Tu sei un documentarista e un autore di successo. Le differenze e i contatti tra documentario e narrativa sono ovvie: una disciplina chiede all’autore di creare, l’altra di testimoniare e ricercare. Nonostante questo, esistono delle analogie e sinergie nelle tue opere tra documentario e narrativa, la proposta di questa nuovo lavoro…

 E’ dunque piu’che normale che le mie antennine cominciarono a vibrare quando durante una chiacchierata con l’amico Antonio Valiante qui a Jelsi venni a sapere di un rito di Carnevale (di cui ormai si sapeva o ricordava ben poco) tenuto in vita sino alla Seconda Guerra Mondiale e mai piu’ rappresentato: Il Ballo dell’Orso. Addirittura mi si offriva la possibilità di raccogliere informazioni dalla viva voce del cosiddetto “Maestro dell’Orso” tale Andrea Valiante del 1920 che ne aveva raccolto la tradizione dalle mani del padre ed era stato interprete e poi istruttore di movimenti per altri interpreti, come Nicola Antonio Valiante del ‘31 (eh si lo so, si chiamano quasi tutti Valiante qui in paese!). Chi ormai mi conosce sa che colto l’input, è difficile fermarmi e dunque andai a parlare con gli arzilli simpatici anziani.

Queste le informazioni raccolte e da me trasmesse all’etnologo Massimo Centini, torinese, autore di svariati saggi sull’argomento:

L’azione in buona dose si svolgeva poco lungo le strade dissestate, sporche e fangose, molto all’interno delle case in festa per il Carnevale.

Il gruppo era formato dallo stesso Uomo-Orso e da altre due persone: uno lo teneva legato a catena e alla ribellione dell’Animale, intimorendolo o toccandolo con un bastone di legno o di metallo, comandava: “Orso, a posto! A posto, Orso! Orso olè!” L’Animale un po’si placava, ma poi si agitava di nuovo emettendo versi gutturali. Un’altra persona era d’aiuto. Infine un gruppetto con strumenti arrangiati accompagnava musicalmente. Una volta in casa, l’Orso si metteva a quattro zampe e spaventava i presenti (soprattutto le donne) riuniti per la festa. Poi il “guardiano” comandava: “Balla Orso!” e lui danzava goffamente. Alla fine veniva offerto vino, biscotti o dolcetti. Si passava dunque ad altra casa.

Il costume era raffazzonato alla meglio, con pelli scure di capra. Sulla testa -a volte si, a volte no- erano presenti due corna di bue o di capra fermati  su un legno arcuato legato sotto il mento. Non si sa se è un elemento aggiunto per creare maggior spavento o se elemento di antica usanza (Dioniso?) Infine, una coda, a volte di cavallo o assemblata alla meglio e il volto umano sporco di nero.

Non c’era sacrificio finale: almeno nel ricordo degli intervistati.

Massimo Centini mi comunica in risposta tutto il suo interesse e invia una scheda dettagliata della presenza di pantomime simili di fine inverno in alcune regioni d’Italia: in Piemonte a Mompantero (TO), Voliera (TO), Villar d’Acceglio e Limone (CN). Belvedere Langhe (CN), Cunico (AT) Belmuccia (VC), Urbiano; in Val d’Aosta, nel Friuli, e poi in regioni a noi molto vicine: in Basilicata nel Potentino a Satraiano di Lucania e a Teana; in Puglia, in Irpinia a Serino (estinta) ecc... Inoltre e naturalmente, in alcune zone d’Europa…

 Nel tuo lavoro sull’Uomo-Cervo di Castelnuovo la dimensione antropologica del rito venne studiata molto attraverso un curato percorso storico e teorico comparativo

 L’azione scenica è piu’ o meno simile a quella nostrana. Il significato antropologico, unico: riti di propiziazione con presenza di capro-espiatorio, spesso vittima sacrificale. Il significato psicologico quale reazione mentale della collettività che si ritrova ad affrontare simbolicamente l’evento inaspettato (l’arrivo dell’essere mostruoso in paese) è ascrivibile alla paura inconscia del misterioso, del non noto, del diverso, del bene cristiano contro il male pagano; quindi da ricacciare o aggiogare, domare. Ma comunque, in un certo qual modo, è la natura imprevedibile e selvaggia che attraverso un’azione-rituale di “magia simpatica” viene posta sotto il controllo dell’uomo, per incanalarla in uno scopo: nella fattispecie, in zone agro-pastorali, volto alla fertilità e al raccolto. Una sorta di azione sciamanica, insomma! Non è lo sciamano delle etnie minori che si veste di pelli e copricapo per propiziarsi i favori dello Spirito dell’animale da cacciare o delle entità della Natura?...

 Sempre presente nella tua azione intellettuale e concreta  di promozione del nostro territorio la necessità vitale di legare Jelsi ad altre Comunità esigendo un salto di qualità per approdare in una dimensione nazionale e non solo, utilizzando parametri di lettura universali.

 Non voglio dilungarmi in disquisizioni etnografiche o antropologiche, oggetto di un eventuale futuro articolo, ma soltanto soffermarmi sull’importanza di un tale rituale a Jelsi, sull’utilità di riproporlo e filmarlo, sulla necessità di offrire al paese un’altra opportunità dopo “I percorsi della Memoria”, lo scambio culturale “Semi d’Amicizia” con altre regioni grazie al dono di carri rappresentativi (vedi Sarentino) e tre documentari su Rete Nazionale. Dopo la Festa del Grano e di S. Anna, Jelsi potrebbe offrire un’altra preziosa chicca e l’immagine di un borgo vivo e in fermento legato alla salvaguardia delle proprie tradizioni. Un paese che nel momento del bisogno si rimbocca le maniche e “unito” collabora alla realizzazione degli eventi. E’ principalmente questo che fa la differenza con altri paesi. E’ il motivo per cui ho deciso di tornare piu’ spesso in loco ed offrire idee e collaborazione. La ragione della mia scelta, oltre l’affetto.

 Il Molise e Jelsi sono un luogo minerario di tradizioni, culture stratificate nel senso comune che rivelano comunità spiritualmente ricche e coese

 E’ singolare e raro che in una regione piccola come il Molise esistano ben tre rituali di propiziazione sotto forma di Cervo, Diavolo, Orso per non citare le rappresentazioni arboree-vegetali di altri luoghi della regione. Questo è il motivo principe del recupero jelsese da proporre ed offrire agli studiosi del mondo. Confortato dal fattivo interesse dell’Amministrazione Comunale e da quello di professionisti nel settore quali il Dott. Massimo Centini, etnologo (“Il Sapiente del Bosco” Il mito dell’Uomo Selvatico - Xenia Ed.), Dolores Turchi, studiosa di tradizioni popolari (Maschere, miti e feste della Sardegna – Newton Compton Ed.), Gigi Deidda, capogruppo dei Mamutzones di Samugheo, il nostro Cirese, studioso della materia, figlio del poeta; Giorgio Salvatori, giornalista TG2 Cultura, Tommaso Ricci, TG2 Tradizioni, Giorgio Boscagli, consulente Parchi Gruppo Orso Italia ecc…, sarebbe mia intenzione recuperare a Jelsi e rappresentare a Carnevale “Il Ballo dell’Orso” dandogli un tono di maggiore spettacolarità pur non tradendo lo schema dell’antica tradizione. Non finisce qui, poiché il respiro dovrà essere ampio e non costretto nei confini locali.

 Quale iniziativa di forte respiro intendi proporre a Jelsi da correlare al “Ballo dell’Orso”che hai voluto sostenere con formidabili artisti e studiosi di grande caratura.

  Il “Convegno sull’Uomo-Orso” a cui far convergere studiosi, giornalisti e fotografi professionisti: chi cioè avrà il compito di esportare l’immagine di Jelsi e della tradizione all’esterno. Questo il mio progetto: naturalmente con l’aiuto del Comune, tuo Antonio, di Antonio Valiante, Michele Fratino, del gruppo musical-canoro facente capo a Peppe Pirro, dello studio dei costumi di Concetta Miozzi e la preziosissima composizione musicale di Piero Ricci. Ma soprattutto, non ultimo e auspicabile, l’apporto della Pro-Loco e delle Associazioni tutte. Questa tradizione appartiene al paese, a tutti noi e -data la rilevanza etno-antopologica- al mondo intero; si spera che l’idea di ricrearla solleciti la sensibilità di ognuno pronto -al di là di arroccamenti protagonistici e unilaterali- a rimboccarsi le maniche, proprio come a luglio per la Festa del Grano. Pronto, se occorre e eventualmente in mancanza di supporto pecuniario da parte degli Enti, ad offrire unitamente all’Amministrazione, anche il proprio contributo.

Mi vien da pensare ad un documento che mi hai mostrato del 12 ottobre 1908 redatto dai nostri emigranti negli Stati Uniti: “Costitution and by-laws of the Society of the Citizens of  Jelsi”. Lo “Statuto della Società Cittadini Jelsesi di Mutuo Soccorso a New York”. Ognuno, come poteva, versò qualche dollaro per aiutare in terra straniera il concittadino in difficoltà…

Vi assicuro che è commovente ritrovare i cognomi che vi appartengono, quelli dei vostri bisnonni, dei vostri padri e constatare la pronta offerta. Questo nuovo evento è come un neonato da guidare, accompagnare nei primi passi, allevare, far crescere.

Facciamo in modo che con la tradizione, non si disperda in questa terra nel momento del bisogno, quel senso di solidarietà così speciale di una grande Comunità. Buon Natale a tutti e.... Buon Ballo!

 

Questa tua incessante attività, impastata di intelligenza, arte e amore nei confronti della nostra Comunità sparsa nel mondo e l’inveramento della sua memoria è testimonianza di appartenenza  e di alta cittadinanza come le  tradizioni più nobili esportate in tutto il mondo ci raccontano e ci onorano.

 Grazie Pierluigi e Auguri