P    Parrocchia “S. Andrea Ap.”

L    Largorgo Chiesa Madre, 10

       86015 Jelsi -CB

II LETTERA PASTORALE: IL PANE DEI VALORI

in onore di S. Anna, Protettrice e Compatrona di JELSI-CB

 

Cari fedeli e amici,

in vista della Festa di S. Anna, Protettrice della comunità jelsese, che da quest’anno veneriamo anche con il titolo di Compatrona di Jelsi, desidero farvi un regalo e rinnovarvi il segno della mia amicizia e riconoscenza per le cose belle che il Signore permette di compiere. Ho pensato di donarvi questi pensieri scritti qualche tempo fa, raccogliendo le testimonianze di persone sapienti che con il loro vissuto hanno molto da insegnare. Parlano di me, della nostra terra jelsese e del valore del pane, come già accennato nella lettera pastorale precedente. Parlano di Dio che in chi Lo accoglie opera meraviglie. Allora li avevo dedicati a mio padre nell’anniversario della sua morte, ora rielaborati li dedico a voi che siete la mia famiglia spirituale. Condividiamo così il meraviglioso e pur impegnativo cammino dell’uomo verso Dio.

Queste brevi riflessioni sono nate così, come desiderio del cuore, dallo sposalizio di alcuni giorni fa, tra il pane fresco e profumato che usciva dal forno di Cianciullo e la pioggia degli ultimi giorni di gennaio, incontrata in via Riccia rientrando dalle celebrazioni della Cappella Capozio. Ero partito di buon ora da casa, fra la bruma classica della stagione invernale in cui alberi, case e persone diventavano indistinti e sfuggenti. Davanti a me si stava levando un sole rosso, sicuro e deciso e si stagliava con contorni di fuoco sull’asse dell’orizzonte. In questo contesto mi è entrata dentro, all’inizio, una grande gioia e poi una serena tristezza. Strano, pensavo, è proprio così la vita: un favoloso dono avvolto spesso dalla nebbia. Un’aurora radiosa che presto, tristemente, può divenire grigia e opaca, indistinta e piatta. E ho pensato al sole, al sole invitto dei Greci e dei Romani, alle chiese rivolte verso oriente, là dove sorge il sole. Alla ricerca di tanti popoli e di tante culture innamorate della luce del sole, desiderio inconscio di un incontro con il divino, con il calore di un desiderio profondo e sconosciuto; di una ricerca di realizzazione, di serenità e di felicità, dell’incontro con l’Altro. Ho pensato al sole che matura le spighe che da 202 anni, in una tradizione e devozione pluricentenaria, vengono offerte a S. Anna, “Gran Madre delle Messi”. La luce è tra noi, ho pensato, da oltre duemila anni, e l’abbiamo poggiata sotto il tavolo delle nostre sofisticazioni e delle nostre illusioni. La luce si è fatta carne, si è fatta conoscere, si è fatta toccare e mangiare, Parola e Pane, eppure è così sconosciuto, non ha quasi più volto, non ha più lo spessore della nostra vita e il canto profumato della creazione. Dove è andato a finire il sogno di Dio consegnato ad Adamo e ridonato in Cristo come splendore e icona del volto di ognuno di noi? Dove possiamo ancora cercare la nostalgia di questa pura carne di Bambino di cui tutti siamo intessuti, di questo Abele dell’Eden, di questo Isacco sul monte, di questo Giuseppe figlio di Giacobbe, venduto dai fratelli ma speranza d’Israele, luoghi emblematici e misteriosi di una completezza che in quel Bambino si sarebbe manifestata? E non ho saputo trovare la risposta che ritornando al pane, allo spessore del pane. Il pane odoroso e fumante, frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Il pane che per molti ancora oggi è tutto. Così umile, così semplice e normale. Così divino, come rappresentato dal pittore accademico pontificio Rodolfo Papa, nella I tela Gesù nasce a Jelsi del ciclo pittorico iniziato nel presbiterio della nostra Chiesa Madre.

Bisogna riscoprire il gusto del pane, pensai. Bisogna riappropriarsi del gusto della vita, delle cose vere ed essenziali. Bisogna ripartire di lì. Mi ricordo quando, fin da bambino, godevo delle cose semplici e “mangiavo” gli odori con tutto l’entusiasmo con cui ero felice. Ricordo il volo delle rondini nella piazza grande del mio paese, il rumore delle botteghe degli artigiani dell’acciaio in cui venivi chiamato per nome perchè conoscevano la tua storia entusiasta e birichina. Ricordo il canto profumato delle donne, la poesia delle viuzze, dei vicoli e dei ponti che percorrevo con i miei amici e compagni di scuola. E poi la confusione gioiosa del mercato al corso centrale. Ricordo i dolci, il tipico bucellato, il campetto di calcio, le carrube selvatiche dell’albero grande, i lupini delle fiere che il vecchio parroco comprava per noi, i giri a cavallo, la poesia della fine pioggia che faceva brillare i lampioni delle strade. Tutto ciò rendeva magico il mio paese. Ma solo il pane diventa per me il simbolo concreto di tutti questi ricordi ed esperienze. L’esperienza plastica più essenziale, la sintesi perfetta dello spessore della vita, del suo vino passato ed del suo genuino futuro. E lo stiamo perdendo il gusto del pane. Quello vero, quello di grano duro, quello comune. Tutto si è raffinato ma anche sofisticato e indebolito. Le cose attraggono ormai per ciò che appaiono e contano come denaro e investimento. Altri odori che sanno meno di terra, di cielo e di mare, di fiori, meno di tenuità e di purezza, hanno sedotto i sensi e il cuore. Gli odori sono divenuti, in pochi attimi di tempo, profumi chimicamente costruiti in laboratorio. E siamo entrati tutti in provetta, senza nemmeno rendercene conto. Nel tempo dell’esaltazione della propria libertà, la nostra presunzione ha indebolito l’armonia delle voci profonde, e ci siamo abbandonati, sazi e corrotti, volontariamente, tra le braccia dell’omologazione. La banale omologazione. L’originalità, scintilla geniale del Creatore, del divino architetto ed artista, ha abdicato alla propria dignità nei laboratori dei maghi e degli istrioni, dei furbi, dei fattucchieri e di manipolatori, di coloro che conoscono a fondo le fragili strutture dell’essere e ci usano, ci ammanettano, ci fanno morire solo per arricchirsi.

Il pane. Ancora è il segno della vita. Il pane: il cammino dell’uomo fuori dalla barbarie, dall’era delle caverne ad oggi, passando attraverso fatiche, lotte e lacrime ma anche gioia di dignità recuperate, per il debole, il servo, lo schiavo, la donna, l’ignoranza, la malattia. Il pane: tutto ciò che di puro e nobile ha prodotto e sa produrre quest’umanità nei suoi figli migliori, negli umili, nei coerenti, nei cultori della libertà come servizio e amore, come condivisione e solidarietà. Senza glorie e battimani, senza interessi. In coloro che si sentono grani dello stesso frumento per lo stesso pane. Il pane: impastato e cotto tra le lacrime secolari dei martiri, sotto il segno doloroso delle tristi e pur provvidenziali rivoluzioni. Il pane: le lacrime delle madri che vedono ancora morire nel sud sempre più esteso del mondo i loro figli di fame, di sete, mentre anche le vetrine dei cristiani si riempiono di tonnellate di chincaglierìe scintillanti ed inutili. Le grida che salgono dall’Africa e da ogni parte del mondo, dalle piaghe aperte sotto tutte le altitudini di un Abele ucciso dai guanti bianchi e perbenisti del fratello Caino, sempre più egoista e potente. Il pane: le madri dei figli colpiti da handicap, abbandonate a se stesse; i giovani senza lavoro e in preda alla disperazione o alla tristezza. Il pane: quel desiderio di fedeltà e di amore nascosto ed atteso nel cuore di ognuno di noi, spesso tradito a basso prezzo, con i famosi trenta denari di Giuda, e calpestato impunemente, che genera, in questa società frammentata e dilaniata, orrore e smarrimento, delusione e disperazione in tante creature deboli e sensibili sbranate dal “mostro”. Il pane: la parte più giovane di noi stessi che si suicida perché non abbiamo saputo tutti, nessuno escluso, mostrare con la nostra vita, il senso di questo nostro pellegrinare, insieme e uniti, in questo meraviglioso e pur da noi maltrattato pianeta. Il pane che ci inchioda e ci giudica tutti, e alla fine ci trafiggerà sulla “croce della storia” se continueremo a far finta di non capire. Occorre riscoprire il pane vero dell’amore che accoglie, non giudica e perdona; il PANE VIVO che si è fatto carne, il Verbo di Dio che è per tutti e si dona come Luce vera che illumina la mente, scalda il cuore, rafforza la volontà, sostiene nel cammino. Apriamo a LUI uno spiraglio del cuore affinché la vita si rinnovi nel Suo Amore.

Salvaci, Signore, dalla collettiva stoltezza e dall’autodistruzione. Rendici solidali e amici. Appassionati dal cammino umano. E mentre le luci dei razzi e delle bombe squarciano il tuo cielo e l’arrembaggio dei nuovi barbari sta preparando l’attacco finale, donaci la sapienza del cuore. Facci incontrare il Tuo Volto. Il gusto del Tuo Volto nel volto dei nostri cari, dei nostri figli, degli amici e dei poveri. Donaci, Signore, il gusto della città dell’uomo, delle nostre parole più vere, senza vergognarsi dei nostri sentimenti così come sono, spesso ruvidi, timidi e grezzi ma innamorati della vita e delle nostre semplicità, del nostro sorriso e del nostro pianto. Dio dell’Amore donaci il pane della gioia, il pane sopra la tavola. Sopra la tavola della vita. Ridonaci il gusto del frumento e del pane vero, e permetti di camminare alla Tua presenza con l’esempio e l’intercessione di S. Anna, per fare della nostra vita un pane fragrante per i fratelli. Amen.

Jelsi (CB): 26 luglio 2007                                                                        

Il Parroco: Don Peppino Cardegna

 

CON GLI AUGURI DEL PADRE ARCIVESCOVO MONS. ARMANDO DINI:   

 

Con l’augurio che gli jelsesi e tutti gustino sempre meglio il Pane di vita, Cristo Ge